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Valerio Vannini: “Finalmente un briciolo di giustizia”

Abbiamo incontrato il padre di Marco



Il telefono squilla finché la solita voce di Valerio, dolce e pacata, non risponde e trasmette fin da subito la quiete di chi ha tanto sofferto ed è stanco, ma alla fine ha vinto.

La sentenza d’appello è stata ribaltata.

“Finalmente ci ha dato quel briciolo di giustizia che cercavamo noi da cinque anni…” dice Valerio Vannini, che continua “ed ha evidenziato tutte quelle mancanze verificatisi nelle udienze precedenti”.

Pochi giorni fa sono state rese note le motivazioni della condanna in appello inflitta alla famiglia Ciontoli, dai giudici del Tribunale di Civitavecchia, lo scorso 30 settembre, in relazione all’omicidio di Marco Vannini.

Sicuramente è stato un giudizio più equo rispetto a quello precedente poi annullato dalla Cassazione, ma per molti non è ancora abbastanza.

L’omicida, Antonio Ciontoli, è stato condannato a 14 anni, mentre gli altri componenti della famiglia, la moglie Maria e i figli Martina e Federico hanno avuto una condanna a 9 anni e 4 mesi ciascuno.

“Il momento più brutto è stato quando fu paventata, in aula a fine udienza, a Marina la minaccia di mandarla Perugia se non si fosse calmata” dice con amarezza Valerio, minaccia che ha scandalizzato davvero tutti e che ha dimostrato la fallacia degli uomini, anche se indossano una toga.

Stavolta l’omicidio commesso il 17 maggio del 2015, è stato considerato volontario con eventuale dolo, mentre nella precedente sentenza, poi annullata, il Ciontoli era stato ritenuto responsabile di omicidio colposo, condanna per i più ritenuta risibile.

E leggendo le motivazioni si percepisce una logica e doverosa rivalutazione di quei fatti che strapparono alla vita il giovane Marco Vannini.

L’assassino ha agito, dicono i giudici, con crudeltà, con la volontà di uccidere, preferendo la morte del giovane ad una imbarazzante sopravvivenza, costruendo poi un castello di menzogne e bugie tese a depistare le indagini, arrivando persino a proporre al medico di turno al PIT di “sistemare” il referto.

Stavolta è stato dato il giusto peso alle telefonate che i Ciontoli fecero al 118, telefonate rimaste scolpite nella memoria di tutti, telefonate nelle quali si mentiva spudoratamente sulle condizioni del giovane Marco che invece si lamentava per il dolore, approssimandosi sempre più alla morte, una morte che i Ciontoli avrebbero potuto evitare chiamando immediatamente i soccorsi.

Ma quel tempo è servito per pulire le tracce di sangue, ripulire la pistola e nascondere il bossolo, hanno detto i giudici.

Anche le responsabilità della fidanzata di Marco, Martina, sono state chiarite e scolpite nella pietra: non solo “era nel bagno –dicono i giudici – ma “ha assistito al colpo d’arma da fuoco esploso dal padre“.

Ha inoltre preferito concorrere nel depistaggio messo su da Antonio Ciontoli anziché intervenire per soccorrere e salvare la vita al suo fidanzato.

Parole pesanti come macigni.

Di tutt’altro peso invece, secondo l’avvocato dei Vannini, le parole pronunciate alla lettura della sentenza da Antonio Ciontoli e riportate dalla stampa: sono state respinte al mittente da Marina e Valerio Vannini che, com’è più che comprensibile, non perdoneranno mai gli autori di questo assurdo omicidio.

“La Giustizia funziona bene – ci dice Valerio – ma a volte, come in tutte le cose, ti può andar bene o ti può andare male. Sarebbe utile che chi si rende responsabile di un errore, e l’appello bis ha ribaltato del tutto la sentenza precedente, ne subisca le conseguenze, come in ogni ambito già succede”. La sua voce rivela una sofferenza che non potrà mai cessare perché un padre non dovrebbe mai assistere alla sepoltura del proprio figlio.

Ci salutiamo, la voce sottile come un filo di seta, e lascia dentro un vuoto che neanche mille sentenze favorevoli possono colmare, perché Marco Vannini è diventato per milioni di persone, in Italia e all’estero, un figlio, un fratello, un amico.

Nella speranza di caricarci sulle spalle noi, un po’ di quel peso e di quell’angoscia che i due genitori di Marco sopportano da quell’ormai lontano maggio 2015.

E ora, che la Cassazione chiuda questa vicenda inconcepibile, assurda, penosa ma soprattutto l’aggettivo che più fa male è “evitabile”.

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