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Immagine del redattoreMarco Milani

Il pericolo dell'Oclocrazia

Il buon Polibio ci aveva avvertito qualche annetto fa


Pidna, piccola città macedone, siamo nel 168 a.C., al culmine della terza guerra macedonica, che vede impegnate la Macedonia guidata da Perseo e le legioni romane con alla testa Lucio Emilio Paolo.

Non è solo lo scontro tra due eserciti ma anche tra due modi diversi di concepire la guerra, con i macedoni e la loro temibile falange, una formazione "chiusa", protetta da una corazza fatta di scudi e inavvicinabile per via delle sarisse (o picche, le lunghe lance) e i romani, compatti ma "scomponibili", con i legionari divisi in manipoli, in grado di staccarsi e infilarsi tra le linee nemiche per combattere corpo a corpo, la loro tecnica preferita.

Roma sbaraglia il nemico, lo annienta e cattura Perseo, conducendolo a Roma in catene, facendolo sfilare in città per poi rinchiuderlo in prigione e farlo morire di stenti.

Una volta riconquistata la Macedonia molti greci vengono mandati a Roma come ostaggi e tra questi c'è il grande storico Polibio, che saprà integrarsi perfettamente diventando un ammiratore della civiltà e del diritto romano.

Polibio ipotizza una sequenza ciclica delle forme di governo possibili, l'anaciclosi, dove pone all'ultimo stadio, quindi nella degenerazione massima, quella che chiama Oclocrazia, ovvero il governo del popolo che diventa violento, venale, corrotto e conduce lo stato in una tale condizione di sofferenza da dove ricorrere all'unica forma di governo in grado di risolvere la questione, la regalità, o monarchia, ovvero il governo illuminato di un solo uomo.

Da qui riparte la progressiva degenerazione del governo che si trasforma in dittatura, poi in aristocrazia, che si corrompe trasformandosi in oligarchia, sopraffatta dalla democrazia che, in ultimo, torna ad essere oclocrazia.

Polibio fa suo il sistema di diritto pubblico romano e, in una fase certamente positiva, visto che Roma ha da qualche vinto le guerre puniche e poi quelle in Macedonia, esalta il governo di Roma, definendolo il migliore, anticipando con le sue "Storie" la storia della città eterna narrata da Tito Livio.

Ma come può interessarci Polibio oggi, nel pieno del ventunesimo secolo?

Be', i paralleli sono tanti.

Uno di questi è il concetto di oggi, quindi moderno, di "uomo forte". Task force sanitaria, emergenza reale, e cosa si fa? Si chiama Arcuri e gli si affida carta bianca.

Arcuri delude e cosa succede? Si chiama un uomo ancora più forte, un militare, il Generale Figliuolo!

L'emergenza è grave e si protrae nel tempo, e cosa succede, tanto per rimanere in Italia? Conte fa il salvatore della Patria e "usando" i cavilli costituzionali, coi suoi DPCM emessi e raccontati in prima persona, afferra il timone e guida lui.

Ma Conte non è capacissimo, il popolo invoca l'uomo forte e arriva Draghi.

Come in Francia con Macron. Come in Russia con Putin e in Gran Bretagna con Johnson e negli States prima con Trump e ora con Biden.

Tutti in democrazia certo, ma tutti con ampi poteri e indubbiamente tutti con la libertà di indirizzare il Paese secondo le loro volontà.

Con i Sindaci delle città era già avvenuto anni fa.

Ubi maior minor cessat. La vittoria dell'ipocrisia.

Un'ultima annotazione che riguarda la Costituzione. È la più bella al mondo, continuiamo a ripeterci (come gli arbitri di calcio migliori al mondo, la moda, ecc), eppure lo stesso Polibio aveva insegnato che "La costituzione di un popolo è da considerarsi come la prima causa della riuscita o del fallimento di ogni azione" (Storie, VI, 2).

Torniamo in Italia: corruzione, mafie, gioventù abbandonata a se stessa, disoccupazione, debito pubblico alle stelle, incapacità di farsi rispettare all'estero, incapaci al governo (ogni riferimento ai 5 stelle è puramente voluto) Magistratura corrotta e potrei continuare per ore.

Niente niente ci fossimo sbagliati e continuando a sbrodolarci addosso con questa storia della Costituzione più bella del mondo ci stessimo crocifiggendo da soli?

Bah, ai posteri l'ardua sentenza.

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