È scomparso uno dei più grandi attaccanti nella storia del calcio
Come una farfalla.
La parabola del piccolo numero 9 è stata come quella di un farfalla, tanto fragile quanto bella e colorata, un battito d’ali rapido e bizzoso, un volo mai prevedibile, schivando insidie e predatori, disegnando ghirigori nell’aria per posarsi infine su questo o quel fiore.
Paolo Rossi è nato a Prato ma dei toscani aveva solo lo sguardo furbo e non l’arroganza sferzante di cui parlò Curzio Malaparte ne “Maledetti toscani”.
La farfalla, spiccò il volo verso Torino, sponda bianconera ma fu un volo breve.
Il piccolo funambolo che giocava all’ala ebbe in pochi mesi tre rotture del menisco e tre operazioni, un colpo che pochi avrebbero retto, un destro al mento che avrebbe steso chiunque, senza possibilità di rialzarsi.
Parlò con il grande Presidente Boniperti e chiese di giocare altrove, dove avrebbe avuto più spazio. Tosto il piccoletto. Passò da Como ed approdò a Vicenza e la farfalla imparò a sfruttare le sue capacità, a mantenere il controllo del volo anche quando sferzato da vento e pioggia, ad evitare gli attacchi dei predatori trovando sempre un fiore su cui posarsi.
La leggenda del piccolo numero 9 nacque in biancorosso, nell’ormai epico Lanerossi Vicenza, dove contro ogni legge fisica, il giocatore che sembrava ancora un bambino, s’impose all’attenzione di tutti, vincendo campionato e classifica marcatori in serie B e l’anno dopo, alla testa dei biancorossi rivinse la classifica marcatori e condusse la piccola società vicentina al secondo posto in serie A, dietro il mito Juventus.
Era il 1978, c’erano i mondiali in Argentina e Paolo Rossi, uomo dal fisico e persino dal nome di una normalità rassicurante, fu chiamato dal CT che sarebbe diventato il suo padre putativo, tale Enzo Bearzot, friulano, duro e schivo ma giusto.
Rossi s’impose al mondo, dimostrò di valere quel palcoscenico universale, pose il suo nome tra le righe e le colonne dei giornali di tutto il mondo accanto a quelli di Mario Kempes, Arie Haan, Karl Heinz Rummenigge, José Dirceu e via dicendo.
Lo spazio tra il nome Paolo e il cognome Rossi cominciò proprio allora a contrarsi e dalle favelas di Rio al Barrio Norte di Buenos Aires, dalla Vaci Utca di Budapest alla Stephen Platz di Vienna divenne Paolorossi, tutto attaccato.
La rivelazione del calcio italiano, la farfalla che nessuno riusciva a catturare si trovò invischiata nella ragnatela appiccicaticcia e maleodorante di qualche predatore e gli fu inibito il volo per due anni. La squalifica per il calcio scommesse sembrò la sua fine.
Ma Paolorossituttoattaccato strinse i denti, testa bassa e pedalare senza mai perdere il sorriso, tornò alla Juve e rivide la luce in fondo al tunnel.
Quando la farfalla tornò a volare fu il momento di andare in Spagna, per i mondiali.
Ma quel piccolo numero 9 (21) cosa avrebbe mai potuto fare contro i Maradona, i Zico, i Boniek, i Rummenigge?
Stentò a prendere il volo, mentre l’Italia lo malediceva e con lui Bearzot.
Svolazzò tremolante ed insicuro, sbandò e quella esile farfalla rischiò di crollare a terra, tra turbini e saette, insulti e maldicenze.
Paolorossituttoattaccato continuò a sorridere, e col sorriso aiutò l’Italia a battere l’Argentina di Maradona e scendere in campo col Brasile, la squadra più forte.
E lì, su quella distesa verde del Sarria, tra canti e samba, nel sole caldo dell’estate catalana il piccolo grande uomo compì il suo capolavoro e dolcemente, come solo una farfalla sa fare, infilò tre volte il pallone nel sacco e rimandò a casa i verdeoro i cui sogni erano stati frantumati da quel sorriso stanco ma buono.
Arrivò la Polonia e paolorossituttoattaccato la stese con due pennellate d’artista, due semplici tocchi al pallone, leggeri ma letali.
E si arrivò alla finale con la Germania e anche per quell’ultimo atto fu lui, Pablito, a dare inizio alle danze crollando quasi per la stanchezza sul cross di Gentile ma arrivando prima degli altri e bucando Schumacher tra le gambe, sbloccando il risultato.
Poi fu il trionfo: campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo.
Il piccolo numero 9 aveva scritto la storia e con un sorriso aveva dimenticato tutte le brutture e gli insulti ricevuti, donando come risposta la Coppa del Mondo al suo popolo.
La farfalla volò ancora per poco, troppo ghiaccio sulle ginocchia, ogni santo giorno, dopo le botte in campo, avendo al suo fianco giocatori del calibro di Le Roi, Michel Platini, senza mai sfigurare.
Ora quella farfalla ha smesso di volare. Ieri notte si è accasciata sul verde prato della vita ed ha smesso di dribblare, di fare gol, di far sognare.
Il mondo lo piange. E lui gli regala un sorriso dei suoi.
“Paolorossituttoattaccato” lo chiama qualcuno. Lui saluta, si mette la maglia e si perde nel cielo, alla ricerca dello spazio, anche due centimetri, uno, tanto gli bastava per fare goal.
E gioca la sua ultima infinita partita, tra gli amici che non vedeva da anni, sotto lo sguardo benevolo del Signore che tra sé e sé si starà chiedendo: “ma non è troppo gracilino quel numero 9”?
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